08/05/2025
Il punto di Pompeo Mannone dell’ultimo numero di "Ultimissime da Via Po, 19"
Il progetto è stato finanziato con i soldi del PNRR per ora sono solo scatole vuote
I due miliardi investiti per
realizzare 1038 case della comunità in Italia entro giugno 2026 per ora
hanno determinato il funzionamento con tutti i servizi previsti di solo 46
di esse, appena il 2,7%.
Per servizi si intende,
assistenza medica di base, visite specialistiche, accertamenti diagnostici di
primo livello, riabilitazione, assistenza domiciliare ed altro, tutto quello
che serve prima di accedere a prestazioni di più alto profilo di rango
ospedaliero.
Parte delle Case di comunità
forniscono solo qualche servizio di quelli sopra citati e quindi
sostanzialmente inadeguate alle esigenze dei cittadini e non rispondenti
all’idea positiva per cui sono state progettate.
Nel Lazio sulla base dei dati
scaturenti dal monitoraggio effettuato dall’Agenzia nazionale per i Servizi
Sanitari Regionali sono state progettate 147 Case di Comunità. Di queste 39
hanno un solo servizio sanitario garantito, 19 hanno una presenza medica, 16
hanno solo una presenza infermieristica e appena 8 sono complete di servizi e
di presenze mediche ed infermieristiche.
Che dire, una situazione molto
critica che necessita di un’accelerazione dello stato di avanzamento della
realizzazione del progetto complessivo.
Lo stato dell’arte poi, relativo
alla strutturazione degli Ospedali di comunità è ancora più deficitario in
particolare nel Lazio ma sostanzialmente in tutto il centro sud.
Il problema degli ospedali di
comunità è soprattutto la grave carenza di infermieri, il vero
fulcro dei predetti ospedali, che dovrebbero garantire il servizio h24 ogni
giorno. Ne mancano negli ospedali
Italiani circa 60 mila. Un numero enorme.
Riguardo le Case di comunità
il problema invece è la carenza di medici ma anche la resistenza dei
medici stessi a volerci lavorare. In quest’ambito i medici di famiglia tengono
aperti i loro studi solo 4 giorni su sette e mediamente pressoché per 14 ore a
settimana. Poche ore quindi dedicate ai pazienti. Cosa fare?
Naturalmente bisogna assumere
e retribuire adeguatamente medici ed infermieri sulla scorta della loro
indubbia professionalità, ma bisogna trovare anche la formula che determini
la disponibilità certa di un numero di ore congrue legate alle necessità di
funzionamento delle case di comunità da parte dei medici di famiglia.
Occorre responsabilità e
remare tutti verso l’interesse generale.
Non possiamo consentirci, come
Paese, di sprecare risorse pubbliche e dunque l’appello che facciamo al
Governo ed alle Istituzioni ai vari livelli, è quello di mettere in campo ogni
utile strumento affinché le strutture sanitarie pubbliche siano funzionanti,
per evitare che diventino sciaguratamente delle cattedrali nel deserto.