Sul fronte della medicina di base

14/04/2021



Dall'ultimo numero di Contromano l'intervista di Ivana D’Imporzano al dott. D’Autilia, medico di famiglia e Vicepresidente del Consiglio Europeo Ordine dei Medici (CEOM)

Sono la categoria forse più direttamente coinvolta nella drammatica realtà cresciuta intorno alla pandemia: i medici di base, coinvolti professionalmente ed emotivamente, con un tributo altissimo pagato soprattutto nella fase iniziale, quando dai malati dovevano andare a mani nude, senza protezioni, senza cure specifiche, con il timore di ammalarsi e la paura di portare la malattia a casa, da familiari e parenti.

Ora, dopo un anno di combattimento, la situazione è cambiata: del Covid-19 si conosce molto di più e anche di come affrontarlo per tentare di ridurne le conseguenze più gravi: certo, il rischio è ancora alto, per i medici e per i pazienti, così come l’incertezza rispetto all’evoluzione della pandemia nei prossimi mesi.

Chi dispone di una visione generale della situazione è sicuramente il dott. Nicolino D’Autilia, medico di famiglia e Vicepresidente del CEOM, il Consiglio degli Ordini dei Medici Europei.

Dott. D’Autilia, lei ha un osservatorio privilegiato: è medico di base e quindi mantiene un rapporto diretto coi pazienti, ma riveste anche un incarico importante a livello europeo. In base alle sue esperienze, come definirebbe la situazione attuale?

Certamente preoccupante. E questo nonostante gli sforzi collettivi e individuali delle istituzioni e dei professionisti della sanità. Nonostante infatti l’assoluta maggioranza dei cittadini abbia mantenuto un comportamento corretto, così come avevano suggerito le autorità sanitarie, la diffusione del virus si è incrementata nell’ultimo mese a causa sia dei contatti familiari sia delle situazioni legate al mondo della scuola.  

I dati ci riferiscono che la malattia, il Covid-19, incide in modo più grave sugli ultrasessantenni con patologie associate. Per questo è importante essere visitati da un medico in tempi rapidi dopo la comparsa di sintomi anche lievi?

Un riscontro clinico da parte del medico in tempi brevi rispetto all’insorgenza di una sintomatologia che possa essere messa, anche solo in via presuntiva, in relazione con un’infezione da Covid-19, è fortemente raccomandato perché l’evidenza scientifica di questi ultimi mesi ci dice che aggredire il virus nei primi giorni favorisce nello scongiurare maggiori danni successivamente.

Quando il medico, se la situazione si aggrava, può valutare il ricovero in ospedale?

Sostanzialmente quando la funzione respiratoria si deteriora e gli altri sintomi subiscono una persistenza temporale. Difficoltà respiratoria (dispnea), febbre elevata e tosse insistente sono i campanelli d’allarme che tutti ormai ben conoscono.  

Come si stanno comportando l’Europa e l’Italia sul tema vaccini?

Direi che l’approccio è stato fondamentalmente omogeneo nel senso di una valutazione unanime della loro efficacia. Ci sono state alcune differenze sulla tipologia di cittadini rispetto alla priorità temporale ma tutti i Paesi hanno impostato subito la campagna vaccinale. L’unica eccezione è stata la Svezia che però negli ultimi tempi ha assunto un atteggiamento più realistico anche nei confronti delle soluzioni da adottare riguardo alla pandemia che in un primo tempo erano state pressoché nulle.

Le persone, sempre attratte dalle notizie che vengono divulgate, spesso si ritrovano a non avere certezze perché ci sono professionisti, spesso non medici, che esprimono opinioni diverse creando in un momento così difficile ancora più ansia e incertezza.

È innegabile che in un mondo ormai dominato dall’informazione continua e pressante, h 24, si stiano insinuando sempre più anche coloro che fanno una vera e propria “disinformazione” per non parlare delle cosiddette fake news. Credo che l’ingresso della medicina nelle trasmissioni di intrattenimento, che ormai hanno inflazionato i nostri pomeriggi e le nostre serate, non sia un fenomeno particolarmente positivo per la scienza. In momenti storici, come quelli che stiamo vivendo da un anno a questa parte, credo sia fondamentale fornire alle persone elementi di giudizio certi e possibilmente univoci. Nulla è più distruttivo, per una persona digiuna di nozioni scientifiche dell’ascoltare valutazioni di diverso indirizzo in un campo come quello dei vaccini, che tanto progresso hanno portato nella storia dell’umanità. Si pensi, a mero titolo di esempio, al vaiolo e alla poliomielite ormai del tutto scomparsi.    

Quali sono i comportamenti che lei, da medico esperto, che ha sempre sottolineato l’importanza della relazione medico-paziente, suggerisce alle famiglie e agli anziani che si ritrovano spesso in solitudine? Il virus incide molto anche sulla salute mentale delle persone.

La risposta purtroppo non è semplice. Questa pandemia ha messo tutti con le spalle al muro facendo emergere tutte le nostre fragilità. E questo riguarda ogni fascia di età, dai bambini agli adolescenti fino ai nostri anziani. È indubbio che gli anziani e i grandi anziani abbiano dimostrato in linea di massima la maggiore debolezza nei confronti di un evento inatteso, violento nelle sue manifestazioni cliniche più gravi, ma che soprattutto comportava, e purtroppo comporta ancora, la necessità dell’isolamento quale misura importante di risoluzione della trasmissione virale.

Il legame affettivo che tiene ancora ben saldo il rapporto tra le vecchie e le nuove generazioni si è, in una qualche maniera, interrotto costringendo le persone a parlarsi solo per telefono o video. Questo ha determinato solitudine e depressione, aggravando ulteriormente le condizioni cliniche di chi era ammalato. Ma sussiste anche il disagio di chi non può abbracciare i propri cari per lungo tempo. E questo neppure nel momento del commiato che, nella nostra cultura mediterranea e cattolica, ha sempre rappresentato una circostanza di particolare rilievo emotivo e di partecipazione corale.

Come si potrebbe intervenire, secondo lei?

Ci stavo arrivando. Infatti, di non secondaria importanza è da considerarsi poi la mancanza di una corretta terapia psichiatrica per questa tipologia di pazienti perché anche il divieto di contatto fisico ha, nei fatti, eliminato quella che è sempre stata e continua a essere la migliore medicina: la vicinanza fisica, la relazione tra persone, anche tra medico e paziente. La relazione mutuata dal video ha cercato di sopperire a questa carenza così significativa ma l’auspicio è che si ritorni quanto prima a poter parlare uno di fronte all’altro, a stringerci la mano e a guardarsi negli occhi.

Per questo vacciniamoci!!!