Fumarola (Cisl): no a leggi su rappresentanza e referendum, sì a un patto per alzare i salari

Fumarola (Cisl): no a leggi su rappresentanza e referendum, sì a un patto per alzare i salari

04/06/2025



Intervista pubblicata su ilsussidiario.net

Per Cisl Daniela Fumarola la dinamica salariale può tornare a crescere puntando sulla produttività

Se il Segretario generale della Cgil, Maurizio Landini ha spiegato che i referendum dell’8-9 giugno che il suo sindacato ha promosso non sono contro qualcuno, ma per cambiare il Paese e che è da irresponsabili invitare all’astensione, la Premier Giorgia Meloni, nella giornata di ieri, ha detto che si recherà al seggio, ma non ritirerà le schede: una mossa che non contribuirà al raggiungimento del quorum.

Una posizione più netta sul tema l’ha già espressa la Segretaria generale della Cisl, Daniela Fumarola, spiegando che non andrà a votare perché non ritiene lo strumento dei referendum “adeguato a risolvere i problemi del lavoro”. “Con questi referendum – ha aggiunto – si continua a guardare al futuro con lo specchietto retrovisore, ma il mondo del lavoro è cambiato e servono tutele nuove”. L’abbiamo raggiunta per comprendere meglio la sua posizione e chiederle un commento su alcuni temi emersi dall’Assemblea di Confindustria, dal Rapporto annuale Istat e dall’attualità sindacale.

Segretaria Fumarola, lei ha detto che servono tutele nuove per un mondo del lavoro che è cambiato. Quali sono queste tutele e come si possono garantire ai lavoratori? Serve una nuova riforma del lavoro?

Non abbiamo bisogno di nuove riforme e di leggi calate dall’alto, scavalcando il ruolo autonomo e libero delle parti sociali. I problemi complessi del mercato del lavoro di oggi richiedono tutele nuove, non improbabili ritorni al passato. Il punto è dare qualità, stabilità e sicurezza all’occupazione. Serve il più grande investimento di sempre su competenze, formazione e politiche attive, verso un nuovo “Statuto della persona”, con una rete istituzionale e sussidiaria che assicuri a tutti sostegno al reddito, garanzie di formazione nei periodi di disoccupazione, orientamento nel mercato del lavoro.

Dobbiamo potenziare la contrattazione decentrata aziendale e territoriale, estendendola anche nei settori in cui manca. E poi rispondere alle piaghe che determinano gran parte del lavoro povero in Italia: il part-time involontario, le cooperative spurie e il falso lavoro autonomo, il lavoro nero e grigio.

All’assemblea annuale di Confindustria, il Presidente Orsini ha detto che “sia l’Europa che il nostro Paese affrontano un rischio concreto di deindustrializzazione”. È così? Che responsabilità ha l’Ue?

Come ha affermato anche il Governatore di Bankitalia Panetta, serve un salto di qualità: un’Europa che investa, che protegga, che guidi il cambiamento attraverso un nuovo patto sociale. È necessario che l’Unione si dia nuove linee su un Green deal che oggi mostra i limiti di un’impostazione ideologica e autolesionista. Da troppi anni non si è fatta una vera politica industriale anche nel nostro Paese, con evidenti omissioni, delocalizzazioni, scelte sbagliate sul piano infrastrutturale, delle politiche energetiche, dell’innovazione tecnologica, della sostenibilità. Oggi ne paghiamo le conseguenze.

Che cosa serve per invertire rotta?

Servono investimenti mirati sulle filiere strategiche e sugli asset innovativi, avendo come riferimento la centralità e la salvaguardia delle persone che lavorano e delle produzioni. Significa per esempio investire nell’automotive, mettere risorse concrete per sostenere le aziende della componentistica e l’intero settore automobilistico nel processo di transizione, tutelando l’occupazione e impedendo le chiusure di stabilimenti. Bisogna osare un altro modello di sviluppo, capace di coniugare produttività e democrazia economica, competitività e solidarietà, efficienza e benessere delle persone.

Orsini si è rivolto anche ai sindacati chiedendo di affrontare “insieme la battaglia contro i contratti pirata. E affrontare insieme quella per una maggiore rappresentatività di imprese e sindacati che firmano i contratti di lavoro”. Cosa ne pensa? Vuol dire che occorre una legge sulla rappresentanza come Cgil e Uil chiedono da tempo? Quale sarebbe?

Prendere i dati in possesso di Inps, Cnel e ministero del Lavoro per mappare gli accordi prevalenti, anche obbligando le aziende a riportare sulla busta paga il codice del contratto applicato. Daremmo un riferimento solido sia alla magistratura del lavoro, sia agli ispettori.

Il recente Rapporto annuale dell’Istat ha ricordato la situazione dei salari reali italiani nel nostro Paese. Come si fa a farli crescere?

Bisogna rafforzare i contratti esistenti, rinnovarli alla scadenza e non dopo dieci anni come accade in qualche settore. Dobbiamo potenziare la contrattazione decentrata aziendale e territoriale, estendendola anche nei settori in cui manca, sgravando accordi di prossimità e Irpef su ceto medio. È fondamentale l’incremento della produttività come leva essenziale per aumentare i salari.

Occorre un patto tra soggetti responsabili, mettendo al centro il riformismo sociale su obiettivi strategici comuni e con un’evoluzione delle relazioni sociali ed industriali in senso partecipativo. Dobbiamo avere il coraggio di unire il Paese su obiettivi strategici condivisi e attesi da anni, rimuovere incrostazioni e dare vita a riforme che connettano insieme retribuzioni più alte, competitività, solidarietà, nuove tutele universali, buone flessibilità contrattate, maggiore capacità produttiva, benessere sociale e lavorativo.

Le parti sociali hanno qualche responsabilità nei ritardi con cui avviene il rinnovo dei Ccnl? Occorre rivedere il sistema della contrattazione?

In questi anni abbiamo fatto moltissimi rinnovi, che hanno dato risposte molto importanti sotto il profilo salariale. Ci sono poi realtà in cui registriamo ritardi ingiustificati e inaccettabili a causa della chiusura da parte di alcune rappresentanze datoriali, come accade per la sanità privata o per le Rsa dove da ben 12 anni non si rinnova il contratto. Penso anche a Federmeccanica che tiene in ostaggio da mesi il sacrosanto diritto delle lavoratrici e dei lavoratori metalmeccanici a un tavolo negoziale per il rinnovo del loro contratto nazionale. Resta poi un problema di fondo, che attraversa decenni.

Quale?

La scarsa propensione del sistema industriale, commerciale e dei servizi nel suo complesso alla crescita e all’incremento di produttività. Fattore che rende complessa la ripartenza della dinamica salariale, specialmente in alcuni settori.

È su questo nodo che dobbiamo concentrarci oggi, con un accordo triangolare, un patto per la qualità del lavoro e la produttività che metta al centro formazione, competenze, nuove tutele, incentivi all’innovazione e alla spinta tecnologica anche nelle piccole imprese. In questo accordo deve essere contemplata anche una forte promozione di una contrattazione sempre più vicina alla persona, alle specificità di ogni settore, di ogni territorio, di ogni realtà produttiva. È nella prossimità e quindi nella contrattazione territoriale e aziendale, che si negozia, si stimola e si redistribuisce la crescita.

È stata da poco approvata la legge sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione, al capitale e agli utili delle imprese, nata su impulso della Cisl. Quali vantaggi potrà portare per i lavoratori, specie nelle Pmi, e quanta diffusione si aspetta che possa avere l’applicazione di questa legge?

La legge è una svolta perché valorizza la contrattazione collettiva come leva fondamentale per accordi partecipativi costruiti dal basso, nei luoghi di lavoro, incoraggiati da incentivi economici alimentati da un Fondo dedicato alla partecipazione. La dotazione finanziaria della legge, che noi avevamo previsto di 50 milioni, è stata innalzata di 22 milioni. Si applicherà a tutte le aziende piccole e grandi. Questo ci sembra davvero un grande risultato. Ma non partiamo da zero. Abbiamo censito già oltre 150 accordi che si occupano di questa materia. Ora abbiamo a disposizione una legge per sostenerli economicamente e diffonderli. Non c’è alcun settore o ambito economico dove non proveremo a potenziare il protagonismo del lavoro.

Come risponde a chi ritiene si tratti di una legge pericolosa per la contrattazione, non pienamente corrispondente alla proposta originaria della Cisl e che, se applicata, non riconoscerà ai lavoratori pari dignità rispetto alla parte aziendale?

Sono delle critiche assolutamente ingiustificate. È stata preservata l’ossatura tecnica e culturale della nostra proposta originaria, ossia quella di una soft law di sostegno alla contrattazione collettiva, che è richiamata ben tredici volte. Le norme hanno mantenuto integra la fisionomia della nostra proposta con il riconoscimento delle quattro forme di partecipazione: organizzativa, gestionale, economico-finanziaria e consultiva. Chi critica questo testo evidentemente lo fa per motivi ideologici oppure non lo ha letto per niente. Tra l’altro è singolare che queste critiche siano arrivate da alcune forze politiche che avevano presentato una trentina di emendamenti al testo originario.

Landini ha recentemente dichiarato che nel nostro Paese “siamo in presenza sempre di più di una conflittualità tra sindacati, anche maggiore di quella tra sindacati e imprese”. Condivide? Questa situazione non è dannosa per i lavoratori?

Non parlerei di conflittualità tra sindacati. Da qualche anno, ormai, registriamo una differente visione di merito e di metodo. C’è una diversità nel giudizio che diamo sui risultati ottenuti rispetto alle rivendicazioni, ma anche di interpretare il ruolo stesso del sindacato. Per quanto ci riguarda noi abbiamo solo un obiettivo: contrattare, negoziare in maniera seria e responsabile, confrontarci con tutti i Governi e tutte le controparti nella prospettiva di migliorare le condizioni sociali dei lavoratori e dei pensionati. Questo lo facciamo con pragmatismo, riformismo sociale, autonomia dalla politica, senza per questo rinunciare al conflitto quando è necessario.

Fonte: ilsussudiario.net