21/05/2025
I referendum sul lavoro sono uno
strumento sbagliato nel merito e nel metodo perché non risolvono le questioni
che si pretende di affrontare. Non si ristabilisce l'articolo 18 ma anzi si
fanno tornare le tutele alla legge Monti-Fornero, riducendo il numero di
indennità riconosciute al lavoratore in caso di licenziamento.
I problemi complessi del mercato
del lavoro di oggi richiedono tutele nuove, non improbabili ritorni al passato.
Sono criticità di ordine prevalentemente qualitativo, non quantitativo. Il punto
è dare qualità, stabilità e sicurezza all'occupazione.
Per fare questo la chiave di volta
è quella della formazione, delle competenze, di un sistema lavoro da spostare
su più alti livelli di valore aggiunto attraverso l'innovazione, di una
contrattazione calata sulle persone, in grado di redistribuire la ricchezza su
salari più alti e orari più flessibili e leggeri.
Tornando al referendum uno
strumento meramente abrogativo, con cui si rischiano di creare vulnus normativi
e che non può in alcun modo realizzare una riforma organica per il buon governo
del mercato del lavoro. La spinta divisiva non giova a nessuno, e rischia di
trasformarsi in un clamoroso autogol soprattutto sul tema della cittadinanza.
La legge attuale va modificata e migliorata in Parlamento, con una riforma che
non lasci buchi e incoerenze, verso forme di ius scholae e agevolazioni per
l'accesso alla cittadinanza, specialmente per le seconde generazioni. È
un'azione che va fatta con serietà, con un approccio partecipato anche dalle parti
sociali.